sabato 18 ottobre 2008

Elias


Questa è la storia del musicista Johannes Elias Alder, che all'età di ventidue anni si tolse la vita, avendo deciso di non piú dormire.

Quanto più si avvicinava alla roccia liscia, tanto più Elias si sentiva irrequieto. Gli sembrava che il rumore dei passi, il respiro, lo scricchiolio della neve gelata, i tonfi lontani del bosco, il mormorio dell’acqua sotto il ghiaccio della Emmer, che tutto intorno a lui dovesse crescere e fondersi in un unico suono grandioso. Quando infine raggiunse la sua roccia sentì un rombo come di tuono erompergli dal petto. E in quel momento, come intuendo qualcosa del proprio futuro, si mise improvvisamente a cantare. Quindi accadde il prodigio: quel pomeriggio del suo quinto anno di vita Elias udì il suono dell’universo.

Sentendo freddo alla testa si portò le mani al berretto per calarselo ancora più giù sulla fronte. Ma lo schianto che avvertì nelle orecchie fu tale da perdere l’equilibrio e da cadere supino nella neve. L’ultima cosa che vide fu un ciuffo di capelli biondi macchiati di sangue.

Mentre cadeva il suo udito si moltiplicò, e iniziò la metamorfosi. …

All’orecchio di Elias si schiudeva un mondo di suoni, di voci e rumori che non aveva mai udito prima con tanta chiarezza. Non basta dire che li udiva: li vedeva. Vide l’aria condensarsi e poi di nuovo espandersi con ritmo incessante. Vide le valli dei suoni e le loro montagne gigantesche. Vide il ronzio del proprio sangue, il fruscio dei capelli tra le mani strette a pugno. E il respiro tagliava le narici con folate così violente che una tempesta di föhn sarebbe parsa al confronto un timido venticello. I succhi gastrici si mescolavano chioccolando e gorgogliando. Le viscere mandavano un suono lungo, gutturale, incredibilmente modulato. I gas endocorporei si dilatavano sibilando o esplodendo, il midollo osseo vibrava e perfino l’umor vitreo tremava ai battiti oscuri del cuore.

Poi il suo udito si ampliò ancora, rovesciandosi come un orecchio gigantesco sulla macchia di terra dov’era sdraiato. Scrutò con l’orecchio teso paesaggi sotterranei a mille miglia di distanza, e luoghi distanti mille miglia. Sullo scenario sonoro dei suoi rumori corporei si spalancarono a velocità crescente altri scenari di gran lunga piú vertiginosi, terrificanti e di una sontuosità inaudita. Tempeste di suoni, uragani di suoni, mari di suoni, deserti di suoni.

[Robert Schneider, Le voci del mondo]


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1 commento:

fra ha detto...

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